IL DIRITTO DI CONTARE

Quando smetti di chiedere il permesso: una riflessione su "Il diritto di contare".

Ti è mai capitato di sentirti invisibile?
Di avere qualcosa da dire, da dare, ma di rimanere in silenzio perché “non è il momento giusto”, “non hai abbastanza esperienza”, “chi sei tu per…”?

Guardando il film Il diritto di contare, ho pensato proprio a questo.

La storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson – tre donne afroamericane che lavoravano alla NASA negli anni Sessanta – racconta di talento, determinazione… e ostacoli. Non solo quelli esterni, come razzismo e sessismo. Anche quelli interni: il continuo bisogno di dover dimostrare di valere, di essere abbastanza, di meritare il posto occupato.

E in questo, forse, molte donne oggi possono riconoscersi.
Non serve essere matematiche geniali per sapere quanto può pesare il sentirsi fuori posto.

Nei miei Blog, a volte mi avvalgo del supporto di brevi filmati per rendere il più possibile incisive e chiare le argomentazioni di cui tratto in ogni articolo.

Guarda questo breve filmato e, se vuoi, fammi sapere cosa ne pensi.

Quando "sentirsi inadeguate", ci trattiene.

Forse anche tu stai vivendo una fase in cui senti che il lavoro che fai non ti rappresenta più.
Magari ti sta stretto da tempo, ma l’idea di cambiare ti sembra troppo grande, troppo rischiosa, troppo per te.

E allora resti lì, in un equilibrio precario, divisa tra un bisogno di esprimerti e la paura di sbagliare tutto.

In questi momenti, il rischio più grande non è cambiare.
È abituarti all’idea che quello che vivi sia tutto ciò che puoi avere.

Il permesso di esistere nel modo che senti più tuo.

C’è una scena nel film che mi ha colpita particolarmente.
È quando Katherine, dopo l’ennesima umiliazione subita in silenzio, decide di parlare.
Con voce ferma, racconta cosa significa dover correre ogni giorno per usare un bagno lontano, perché a lei – in quanto donna nera – non è concesso usare quello delle altre.

Quella scena non è solo uno sfogo. È un punto di svolta.
È il momento in cui smette di chiedere il permesso.
E proprio da lì, qualcosa cambia.

Quante volte, anche noi, tratteniamo parti importanti di noi stesse perché aspettiamo che qualcuno ci dica che possiamo?

E se oggi cominciassi proprio da questo?
Dal darti tu il permesso.

Non serve avere già tutto chiaro.
Basta iniziare a riconoscere che quel senso di insoddisfazione non è “lavorativo”.
È esistenziale.
È il bisogno di sentirti a posto con te stessa, non con quello che gli altri si aspettano.

Il permesso di esistere nel modo che senti più tuo.

Se senti che questo è il tuo momento, se c’è un desiderio che bussa da un po’ ma non hai ancora avuto il coraggio di ascoltarlo davvero… sappi che non sei sola.

Io ci sono passata.
E oggi accompagno proprio donne come te a fare chiarezza su ciò che vogliono davvero e a trovare la loro strada professionale in modo graduale, sostenibile, rispettoso dei tempi interiori e delle necessità quotidiane.

Se questo articolo ti ha parlato, continua a seguire il blog: qui trovi storie, riflessioni e strumenti per dare forma a un cambiamento che parta da dentro.
E se senti che è il momento giusto per parlarne, puoi scrivermi: sarò felice di ascoltarti.


– aNGELA